Documento Congiunto AMD-SID-SIdP su Diabete Parodondite
Il diabete e la parodontite sono due patologie correlate al punto che è stata teorizzata una relazione a due vie: Il soggetto con diabete ha una tendenza a sviluppare parodontite e il soggetto con parodontite ha una tendenza a sviluppare diabete.
Il Diabete come rischio per la parodondite
La maggiore suscettibilità alla parodontite nei diabetici è dovuta alla risposta alterata in seguito a insulto batterico dei batteri parodontopatogeni associata a una disbiosi del biofilm sottogengivale. Questa alterazione è possibile tramite tre meccanismi: A. Citochine/adipochine, B. Immunità cellulare alterata e C. iperglicemia. Il diabete influenza qualitativamente e quantitativamente il profilo citochinico dei pazienti con parodontite. Infatti, i soggetti con DT2 e parodontite mostrano, rispetto ai diabetici senza parodontite, un maggiore livello di citochine ematiche e a livello del fluido gengivale crevicolare; lo stesso quadro è osservabile nel DT1. Nei monociti di soggetti con DT1 e parodontite è stata descritta una maggiore produzione di IL-1β, TNF-α, PGE2 dopo stimolazione con Lipopolisaccaride rispetto a soggetti senza DT1. Inoltre, nei soggetti con diabete si ha una risposta immune mediata da neutrofili deficitaria a livello gengivale. L’iperglicemia ha un impatto sulla salute parodontale grazie a quattro meccanismi fondamentali correlati a 1)stress cellulare; 2) advanced glycation end- products(AGEs) e loro recettori RAGE; 3) omeostasi dell’osso alveolare; e 4) disbiosi del biofilm batterico. Esiste una relazione diretta fra la gravità ed estensione della parodontite e il peggioramento del controllo glicemico. Tale condizione è responsabile di una ridotta produzione di collagene e incremento di attività collagenolitica dei fibroblasti gengivali e parodontali Proteine glicosilate (advanced glycation end-products, AGEs) sono presenti nei tessuti gengivali e nella saliva dei pazienti diabetici con parodontite. I livelli degli AGEs ematici sono associati significativamente all’estensione della parodontite nei pazienti con DT2. Se il diabete è poco controllato, nei tessuti parodontali vi è un alto livello di proteine di mebrana receptor activator of nuclear factor kappa-B ligand (RANKL), membro della famiglia del TNF. Ciò contribuisce a un’alterazione del metabolismo osseo con riassorbimento dell’osso alveolare nel soggetto con parodondite.
La Parodontite come rischio per il Diabete
I dati sperimentali lasciano supporre che la parodontite aumenti il rischio di sviluppare diabete. Soggetti non diabeticiseguiti per cinque anni presentano, qualora ilsoggetto sia affetto da parodontite grave, un incremento di HbA1c dello 0.1% indipendentemente dai fattori confondenti, quali l’età. Questo incremento è ancora maggiore nei soggetti con un elevato livello di PCR. Visono delle solide evidenze che neisoggetti affetti da parodontite visia un controllo glicemico peggiore, evidenziato da un incremento dei valori di HbA1c nei soggetti non diabetici con parodontite. La tendenza all’iperglicemia è mediata dall’infiammazione sistemica elevata del soggetto affetto da parodontite ed un complesso meccanismo che comprende: I) l’elevata produzione citochinica che potrebbe contribuire all’insulino-resistenza tramite la modificazione dell’insulin receptor substrate-1; II) alterazione della funzione adipocitaria con aumento di acidi grassi liberi; e III) calo della produzione di ossido nitrico endoteliale . Neisoggetti diabetici con parodontite si è osservato un peggior controllo della glicemia e un aumentato rischio dello sviluppo di complicanze del diabete. Neisoggetti con DT1 e parodontite esiste un maggiore rischio di complicanze renali e cardiovascolari. Nei soggetti con DT2 in presenza di parodontite moderata/grave è più frequente macroalbuminuria e insufficienza renale terminale. Inoltre, in presenza di parodontite grave, i soggetti con DT2 presentano un rischio di morte cardio-renale 3.5 volte superiore rispetto ai soggetti parodontalmente sani. Infine, tre mesi dopo terapia della parodontite, il valore meta-analitico della riduzione di HbA1c è pari allo 0.4 %
Il diabete tipo 2 può rimanere a lungo asintomatico; la diagnosi richiede dunque un atteggiamento proattivo (ricerca della malattia attraverso procedure di screening). La percentuale di casi di diabete tipo 2 non diagnosticato è molto elevata, e la fase pre-clinica non è benigna: infatti, è frequente che i pazienti presentino già complicanze croniche della malattia al momento in cui viene posta la diagnosi, e queste hanno un grave impatto sulla qualità di vita dell’individuo, nonché un elevato costo per la comunità. Risulta quindi evidente l’importanza di attuare efficaci programmi di screening con test non invasivi, semplici e relativamente poco costosi quali la glicemia a digiuno, l’OGTT o, come ormai diffusamente condiviso, la emoglobina glicata (HbA1c). In presenza disintomi tipici della malattia (poliuria, polidipsia e calo ponderale), la diagnosi di diabete è posta con il riscontro, anche in una sola occasione, di glicemia casuale ≥200 mg/dl. In assenza deisintomi tipici della malattia la diagnosi di diabete deve essere posta con il riscontro di: – glicemia a digiuno ≥126 mg/dl confermato in almeno due diverse occasioni – glicemia ≥200 mg/dl due ore dopo carico orale di glucosio (eseguito con 75 g) – HbA1c ≥48 mmol/mol (6.5%) (con dosaggio standardizzato dell’HbA1c).
Non risultano invece utili, nello screening del diabete tipo 2, le misurazioni di: glicemia post-prandiale, profilo glicemico, insulinemia (basale o durante OGTT), C-peptide, autoanticorpi. Nel corso dello screening per diabete, possono essere identificati soggetti con condizioni di alterata regolazione della glicemia non diagnostiche per diabete [IGT (= ridotta tolleranza al glucosio), IFG (= alterata glicemia a digiuno) e HbA1c borderline (39-46 mmol/mol o 5.7-6.4%)]. In questi soggetti, interventisullo stile di vita possono consentire di prevenire/ritardare lo sviluppo della malattia conclamata. In caso di normalità del test di screening, questo andrebbe ripetuto ogni 3 anni (ogni anno in caso di condizioni di alterata regolazione della glicemia). La presenza di IFG è il principale fattore di rischio per lo sviluppo di diabete; inoltre, fra i fattori di rischio noti, assumono una particolare rilevanza un BMI > 25 kg/m2 e l’età. L’efficacia di test discreening di massa neisoggetti asintomatici non è stata provata definitivamente. La strategia più vantaggiosa appare l’identificazione delle categorie ad elevato rischio di sviluppare il diabete. Lo screening dovrebbe essere pertanto raccomandato ad adulti con BMI ≥25 kg/m2 ed uno o più dei seguenti fattori di rischio noti per diabete: familiarità di primo grado per diabete tipo 2 (genitori, fratelli) inattività fisica appartenenza a gruppo etnico ad alto rischio ipertensione arteriosa (≥140/90 mmHg) o terapia antipertensiva in atto bassi livelli di colesterolo HDL (<35 mg/dl) e/o elevati valori di trigliceridi (>250 mg/dl) nella donna: parto di un neonato di peso >4 kg o pregresso diabete gestazionale sindrome dell’ovaio policistico o altre condizioni di insulino-resistenza estrema come l’acanthosis nigricans evidenza clinica di malattie cardiovascolari HbA1c ≥39 mmol/mol (5.7%), IGT o IFG in un precedente test di screening In tutti i soggetti con più di 45 anni di età, anche in assenza di fattori di rischio, è comunque indicata l’esecuzione, con cadenza triennale, della glicemia a digiuno.
La parodontite può rimanere a lungo asintomatica. Il sanguinamento gengivale è il primo segno di malattia; questo però è condiviso con la gengivite e, in presenza di gengivite è necessario porre diagnosi differenziale. La diagnosi richiede dunque un atteggiamento proattivo (ricerca della malattia attraverso procedure di screening). La percentuale di casi di parodontite non diagnosticati è molto elevata, e la fase pre-clinica non è benigna: infatti, è frequente che i pazienti presentino già complicanze croniche della malattia al momento in cui viene posta la diagnosi, quali ipermobilità dentale, perdita della funzione masticatoria, recessione del margine gengivale, ipersensibilità al freddo. Queste hanno un grave impatto sulla qualità di vita dell’individuo e sono responsabili di un notevole aggravio dei costi per le cure odontoiatriche.